Nei casermoni di via Stalingrado a Piombino avere quattordici anni è difficile. E se tuo padre è un buono a nulla o si spezza la schiena nelle acciaierie che danno pane e disperazione a mezza città, il massimo che puoi desiderare è una serata al pattinodromo, o avere un fratello che comandi il branco, o trovare il tuo nome scritto su una panchina. Lo sanno bene Anna e Francesca, amiche inseparabili che tra quelle case popolari si sono trovate e scelte. Quando il corpo adolescente inizia a cambiare, a esplodere sotto i vestiti, in un posto così non hai alternative: o ti nascondi e resti tagliata fuori, oppure sbatti in faccia agli altri la tua bellezza, la usi con violenza e speri che ti aiuti a essere qualcuno. Loro ci provano, convinte che per sopravvivere basti lottare, ma la vita è feroce e non si piega, scorre immobile senza vie d'uscita. Poi un giorno arriva l'amore, però arriva male, le poche certezze vanno in frantumi e anche l'amicizia invincibile tra Anna e Francesca si incrina, sanguina, comincia a far male. Silvia Avallone racconta un'Italia in cerca d'identità e di voce, apre uno squarcio su un'inedita periferia operaia nel tempo in cui, si dice, la classe operaia non esiste più.
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Due amiche adolescenti a Piombino: un buon esordio. L’età è ingrata sotto la torre dell’altoforno
Giovanni Tesio, Tuttolibri - La Stampa
Il romanzo d`esordio della giovane Silvia Avallone, Acciaio, comincia con un titolo che non è privo di coraggio, perché ricorda il film di Walter Ruttman a cui mise mano anche Pirandello quando - come documentano le lettere scritte al figlio Stefano - si aspettava dal cinema qualche soddisfazione. Nel film erano protagoniste le Acciaierie di Terni, qui lo sono invece le Acciaierie Lucchini di Piombino (già Ilva, Italsider, Finsider e viavia, oggi cedute ai russi della Severstal). Dopodiché, titolo e materia evocano una pur piccola dose di neorealismo, perché tutto può tornare, sia pure cambiato di quel molto che separa un tempo dall`altro, se è vero che niente di identico può tornare mai. Se da un lato è infatti sostenibile che questo libro «fa accadere le cose», come afferma Michele Rossi, che ne è stato l`editor, è non meno sostenibile che le fa accadere dentro un universo di percezione postmoderna, come ben risulta dall`esergo che viene da Libra di Don De Lillo, il romanzo dell`assassinio di Kennedy, poi anche ricordato nel romanzo dell`Avallone: «Le cose migliori risplendono di paura». Vale a dire che le cose non valgono per se stesse, ma per le accensioni d`alterità (e anche di già accaduto o detto) che ne sottende e sottintende la consistenza e il tracciato. Sulla base di queste suggestioni preliminari, possiamo addentrarci in una storia di passo lento, che si muove nell`arco di due anni, tra l`estate del 2001 e quella del 2002, tra l`attentato delle Torri gemelle e un agguato del destino. Tra i palazzoni desolati di via Stalingrado (tuttavia dotati di un loro sentore) e le «eiaculazioni d`impianti» di cui il gran complesso si compone, fatto di parti addizionate e di parti dismesse, di zone vive e di zone morte, dominio - queste ultime - di creature anfibie, che sono gatti ma che sembrano alieni. Tra la spiaggia che affaccia sull`isola d`Elba così vicina da toccarla e così remota da apparire come un sogno degli approdi impossibili, e la vita domestica che si consuma in esistenze annodate anchilosate stremate. Tra lo spasmodico e rabbioso desiderio di uscire da un mondo di scarsa o nessuna prospettiva e i frammenti di una cultura ibrida o disarmante. Tra la violenza ottusa di padri padroni (o di padri pasticcioni) e la falsa libertà dell`immaginario televisivo fatto di veline e di lap dance. Il tema di fondo - intorno a cui tutto il resto ruota: genitori, fratelli, luoghi, amici - è l`adolescenza di due bambine, Anna e Francesca, l`una più algida l`altra più carnale, l`una un po` più colta, l`altra più altera (ma tutt`e due diversamente belle), che si fanno ragazze vivendo la loro metamorfosi in soprassalti affettivi sghembi e tortuosi, fino alla manifestazione di un lesbismo molto più che strisciante o accennato. Il romanzo, allora, diventa soprattutto la storia della loro età ingrata, il loro legame con l`ambiente, i loro estri imitativi, le loro complicità furtive, il loro linguaggio (più gestuale che verbale), il loro ribellismo coatto, il loro porsi nei confronti dei coetanei, del mondo adulto, dei compagni di gioco, e delle nuove avventure, la loro sensualità impavida, la loro sessualità affrettata, la loro vitalità irriducibile, il loro impulso di emancipazione e di riscatto, la loro ingenuità quasi commovente, in cui si insinua precoce la cognizione del dolore e del tempo fuggitivo, l`impulso irresistibile a mordere la vita e nello stesso tempo a coglierne la fuga, la consapevolezza embrionale di una tristezza corrodente e insieme il bisogno di legarsi a un`affettività solida, quasi primordiale. Sotto la torre nera e minacciosa del «mitico» Afo 4, il quarto altoforno, in cui a 1538 gradi fonde il metallo, ecco dunque il buon esordio di un romanzo capace di tenere insieme - nella deriva o nel dramma di molte vite - il filo di una speranza che sprigiona da due esistenze forse destinate a combaciare.
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