Questa edizione dei "Canti" propone un testo filologicamente controllato sui manoscritti, un'ampia introduzione e un commento aggiornato, che non solo tiene conto delle più recenti acquisizioni in materia leopardiana, ma utilizza anche, su larga scala, supporti informatici per il confronto tra la lingua di Leopardi e quella contemporanea.
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Leopardi, la quiete dopo la tempesta, la leggiadria prima dell`apparir del vero
La grandezza di Leopardi e la sua capacità di comunicare emozioni e verità è enorme, e passa immutata attraverso il tempo e le generazioni. Proprio per questo, se pensiamo ai Canti, si ha solo l`imbarazzo della scelta. E allora inizierei proprio, paradossalmente ma non troppo, dall`amore di Leopardi per la vita, che mi è sempre parso estremo e vertiginoso. Un amore che si osserva nella freschezza di certi ritratti, nella lieve descrizione di alcune situazioni, e soprattutto riferito all`innocenza semplice o al «caro tempo giovanil». Basti pensare a quell`attacco indimenticabile: «Dolce e chiara è la notte e senza vento», o alla giovane Silvia dagli occhi «ridenti e fuggitivi» e «assai contenta / di quel vago avvenir che in mente avevi», mentre il poeta stesso definisce «leggiadri» i propri studi. Il tutto, certo, prima del lancinante «apparir del vero», con quell`immagine tremenda, e tra le più alte della nostra poesia: «e con la mano / la fredda morte ed una tomba ignuda / mostravi di lontano». Tornano poi alla mente le scene della Quiete dopo la tempesta, l`erompere vitale del sereno, l`artigiano che viene fuori «con l`opra in man cantando», mentre «si rallegra ogni core». Appartiene a questo clima di semplice adesione all`esistere anche la celeberrima donzelletta del Sabato del villaggio, e poi i «fanciulli gridando / su la piazzola in frotta» e lo zappatore che fischietta. L`incanto e la leggiadria con cui Leopardi presenta queste scene e questi personaggi umili sono l`esempio e la prova del suo trasporto sincero per l`esistere. Ma è proprio di qui che si intravede il rovescio della medaglia, e subito si impone la disillusione, quel senso di profonda frustrazione che è in fondo il grande tema centrale, o la grande metafora, di tutta la tradizione lirica, e cioè l`amore non corrisposto. Lo rileggiamo nell`Ultimo canto di Saffo, dove ci troviamo di fronte ai «disperati affetti». Nello Zibaldone scriveva il poeta: «L`uomo di immaginazione, sentimento e di entusiasmo, privo della bellezza del corpo, è verso la natura appresso a poco quello che è verso l`amata un amante ardentissimo e sincerissimo non corrisposto». Portando avanti il discorso, o spingendoci al suo vero nucleo decisivo, si potrebbe dire che l`uomo ha in sé risorse d`amore e di adesione alla vita quasi inesauribili; ma la vita lo ripaga con l`indifferenza o il dolore, lasciandolo come una presenza irrilevante e caduca. D`altronde è proprio il dolore un`esperienza infelice e cruciale (ma in fin dei conti vitale) del nostro esistere, e Leopardi ce ne dà una testimonianza senza pari, guardando in faccia il «vero» con eroica fermezza. Tornando però ai toni di più serena armonia, e ai colori di indefinita bellezza vaga della tavolozza leopardiana, vediamo che il linguaggio ne è tanto spesso lo specchio più fedele. Leopardi argomenta e ragiona, lo sappiamo, ma tanto spesso riesce a proporci un`ineguagliabile e vitale semplicità di accenti. La parola scorre con mirabile naturalezza, diventa trasparente e libera, senza scorie letterarie né artifici. Diventa la meraviglia della forma che passa immutabile nel tempo e quasi lo cancella, come è sempre nel miracolo della poesia davvero grande.
Recensione di Tuttolibri, a cura di Maurizio Cucchi
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