«All'alba del 1° agosto del 2008, una trentina di scalatori appartenenti a dieci spedizioni diverse lascio` i campi alti sulla cresta degli Abruzzi del K2. Dopo settimane di attesa forzata per il brutto tempo, nel primo giorno limpido e senza vento gli alpinisti erano pronti a tentare l'ascesa alla vetta. Nelle trentasei ore successive, undici di quelle persone avrebbero trovato la morte lassu`, sulla cresta degli Abruzzi. Quel disastro si sarebbe trasformato nella piu` grave tragedia provocata da un singolo evento nella storia del K2, la seconda per importanza nel lungo elenco di spedizioni sulle catene di Himalaya e Karakorum. E nessuno l'aveva prevista.» Gli italiani conoscono molto bene la storia alpinistica del K2, grazie alle gesta di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, primi salitori nel 1954, e di Walter Bonatti, che a lungo lotto` per il riconoscimento del proprio ruolo in quella spedizione. Trionfi e insuccessi costellano la relazione tra questa montagna durissima e gli uomini che ne sfidano la vetta: e` qui che si misurano questioni fondamentali come la valutazione dei rischi, l'ambizione, la lealta`, lo spirito di sacrificio e il prezzo della gloria. Ed Viesturs, l'alpinista americano piu` noto, nonche` l'unico ad aver scalato tutti e quattordici gli Ottomila senza ossigeno, nel 1992 proprio sul K2 fu travolto da una valanga, uscendone incolume e salvando il suo compagno di cordata, Scott Fischer. Ripercorrere con la mente quell'episodio significa per lui riflettere sugli eterni dilemmi della montagna. «K2 docet, avrebbe potuto essere il titolo di questo libro», scrive Viesturs: un resoconto delle sei stagioni piu` drammatiche nell'alpinismo sul K2 viste attraverso il suo personale sguardo su quello che succede, o che puo` succedere, ad alta quota, quando il fisico e` allo stremo delle forze, la mente perde lucidita` e l'imprevisto cambia le carte in tavola. Il suo racconto delinea un mantra incontestabile: in montagna, la vera vittoria e` tornare a casa.