Il progressivo annientamento di Berlino durante la guerra, visto dagli occhi di una bambina che fu anche portata in visita nel bunker di Hitler.
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Nell`apocalisse del Reich
Luigi Forte, Tuttolibri - La Stampa
Elga Schneider ha molte patrie e un`unica ossessione: la guerra. È una vita che si porta dietro quell`inferno. Nel cuore e nel cervello. Aveva otto anni quando intorno a lei Berlino si trasformò in un deserto di macerie. Ora ne ha sessanta e quelle immagini continuano ad assediarla. Anche se sta in Italia da oltre un trentennio e s`è lasciata alle spalle molti Paesi: la natia Polonia, la Germania, dov`è in parte cresciuta, poi l`Austria. Forse per attenuare le voci stridenti del passato le ha sciolte in una musica diversa, nella melodia impersonale d`una lingua non sua: s`è messa a scrivere in italiano. Con la disinvoltura di chi quella lingua l`ha succhiata col latte materno. Il risultato è stato brillante, come testimonia il suo romanzo autobiografico Il rogo di Berlino uscito un paio di anni fa . E qualche conferma arriva anche dalla sua recentissima raccolta di racconti. Porta di Brandeburgo, che sembra un corollario, una glossa in termini spesso aneddotici al libro precedente.
Helga Schneider ha allontanato da sé l`orrore di quel passato trasferendolo in un`altra patria linguistica. Uno straniamento che le offre maggior distanza, più severa obiettività. E il lettore stenta a credere di essere guidato per mano nell`apocalissi del III Reich da una scrittrice tedesca. Perché la sua nuova madrelingua non ha solo precisione e ricchezza: ha il taglio, il ritmo, la dinamica indispensabili per una narrazione drammatica. Certo il testo autobiografico riusciva convincente anche di fronte a fatti e tragedie consumate e note, perché l`autrice le riviveva con gli occhi di un`infanzia attonita e disorientata. Uno sguardo che sapeva alleggerire il peso dell`orrore o talora renderlo ancor più inesplicabile
L`epica della bambina Helga abbandonata con il fratellino da una madre che nel 1941 si arruola volontaria nelle SS, riscopre la vita, un sorriso, un gesto d`amore anche nella più bieca quotidianità. Così come i racconti della scrittrice Schneider tentano di ricreare legami, affetti oltre le lacerazioni della storia. C`è il piccolo ebreo Erich che, persa la madre, si solleva dalla sua disperazione nell`abbraccio di un soldato russo. E Pavel, giovane siberiano, passa dalla violenza all`amore verso la tedesca Gertrud fino al punto di uccidere un connazionale che sta per violentarla. Poi c`è Joseph Fenzling, che va matto per i temporali ed è mezzo rovinato da un bombardamento; ma nonostante tutto riscopre la gioia di stare insieme alla moglie Jutta. Un mondo di sconfitti che l`inferno di Berlino, alla vigilia della resa, non riesce a soffocare. Come Alfred Ziehmke, reduce da Bergen-Belsen, a cui due russi hanno stuprato la moglie, che morirà nel dare alla luce un figlio. Alfred lo alleverà come se fosse suo. Spunti patetici che solo un tono asciutto e quasi protocollare rende accettabili.
La Schneider ha ripercorso la propria infanzia staccando tasselli di memoria per ricomporli in storie che echeggiano immagini del nostro neorealismo. Le riscatta la sua cocciuta volontà di capire, di addentrarsi nelle coscienze prima ancora che fra le macerie di una città sconfitta. Lei, derubata della propria infanzia, non può scordare le follie del fanatismo: sullo sfondo c`è sua madre, che ritrovata dopo molti anni a Vienna, le mostra con orgoglio la propria divisa di SS. E qui, nelle sue recenti pagine, c`è la giovane Hanni che nel racconto omonimo finisce per denunciare un vecchio ebreo su istigazione del padre. Mentre in un abbozzo di romanzo inserito fra i racconti, si assiste alla totale alienazione ideologica di una figlia utilizzata nei centri per la procreazione di bimbi ariani. Un essere plagiato e corrotto che a distanza di anni non vuole più riconoscere sua madre.
Forse i racconti di Helga Schneider tradiscono l`enorme difficoltà di trovare un linguaggio per l`orrore. Sullo sfondo della quotidianità scivolano nel gusto macchiettistico, nell`aneddoto non privo di sobrie sfumature umoristiche. Slegate dal filo conduttore dell`autobiografia, queste storie hanno un sapore un po` retrò e qualche patetica stonatura. Anche se la memoria s`ostina a respingere l`oblio.
Il rogo di Berlino. 8°, pp. 229; brossura editoriale illustrata con risvolti, titolo al piatto e dorso, ottimo esemplare . . Buono (Good)
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